Mi sembra un'analisi ragionata, e anche completa nell'individuare i fattori rilevanti nella scelta di impiantare / trasferire delle attività in un luogo piuttosto che in un altro.
Posso aggiungere solo due considerazioni:
Dueruote wroteLa burocrazia è importante. Non ricordo quale azienda farmaceutica volesse impiantare in Italia un centro di ricerca. Noi siamo messi abbastanza bene nel campo medicale come nazione. Purtroppo dopo un’attenta valutazione desistettero dal loro proposito. Il motivo è la giustizia troppo lenta. In caso di violazione di un loro brevetto registrato nel nostro paese o di spionaggio industriale, ci sarebbero voluti troppi anni per difendersi.
Ecco, questo -insieme all'instabilità politica- è un po' il nostro vero tallone di Achille. Non ci rendiamo conto quanto pesi, a livello economico, la mancanza di una politica "forte". Intendiamoci, non intendo l'uomo solo al comando (abbiamo già dato, grazie), ma la compattezza e la costanza di tutta la classe politica nell'individuare obiettivi di medio e lungo termine, e nel perseguirli senza conversioni a U e ripensamenti continui (per non parlare del continuo ricorso alla piazza). Ugualmente (le due cose sono legate tra di loro), il ruolo da protagonista (e, fondamentalmente, l'impunità a qualsiasi cazzata) che concediamo alla magistratura, senza poterne correggere gli eccessi di ogni tipo, è una catena pesantissima che, anziché garantire, impedisce lo sviluppo sociale.
2) Ci sono, per la nostra situazione, precise responsabilità storiche, che risalgono (volendo) addirittura al '500, ma che sono ben individuabili in ogni epoca, incluse la formazione e lo sviluppo dello Stato unitario e poi la ricostruzione postbellica, oltre che -naturalmente- negli anni più recenti. La scarsa coesione del nostro tessuto sociale ed economico, a livello nazionale, è una realtà devastante, alla quale temo sia ormai impossibile porre rimedio (quanto meno, non con i mezzi attualmente a nostra disposizione); l'assenza di un sistema-nazione efficiente nella sua interezza è un handicap insuperabile, quando si vuole competere (in qualsiasi ambito), e ha lasciato ai nostri concorrenti (nonché a tanti presunti amici) lo spazio per conquistare spazi (di mercato, ma non solo: si pensi al controllo delle fonti di approvvigionamento di materiali ed energia...) che avrebbero potuto (dovuto...) essere nostri; e il fatto che oggi politica ed economia nazionali si trovino a dover operare di concerto con la realtà della UE è un ulteriore aggravio, anziché una facilitazione (anche qui, intendiamoci: non sto dicendo che l'Europa è nemica, che la Germania ci controlla, e tutte quelle belle cose lì; sto dicendo che se un Paese con un'economia debole accetta di condividere le regole con altri Paesi più forti, finisce per esserne assorbito. E' una constatazione, non una critica, anche perché l'alternativa avrebbe comunque condotto allo stesso risultato, per le ragioni che ho appena indicato).
Ci sarebbe poi da riflettere, sempre a livello nazionale, sull'importanza che ha avuto, nel nostro non-sviluppo, la debolezza del nostro sistema finanziario e di credito (anch'essa, in realtà, legata alla mancanza di coesione unitaria). Ma poi il discorso si allargherebbe troppo... e forse, più che interrogarsi sui motivi della nostra debolezza, varrebbe la pena di interrogarsi sulle possibili soluzioni. Sempre che ne esistano...