A mio parere, nel fine settimana di Ferragosto bisognerebbe stare a casa. Le strade sono sempre sgombre, dato che la maggior parte delle persone in quel momento, sabato o domenica che sia, si trovano imbottigliate nel traffico della A4 o A14... A casa, invece, i percorsi abitualmente trafficati sono liberi e si guida con scioltezza, facilmente, quasi pigramente. Certo, a casa in quel fine settimana devo restarci solo io e al massimo qualcun altro, altrimenti saremmo da capo.
Come che sia, lo scorso fine settimana, il primo dopo il temuto e agognato 15 agosto, ottengo dal piccolo despota (il figliuolo) l'opportunità di qualche ora di guida con la GT, dato che finalmente si è appisolato e si gode il riposo pomeridiano. Il cielo è grigetto, niente di che - non piove mica - ma non si sta male. Meglio: così anche i pochi rimasti a casa come me evitano di uscire per andare al lago o in montagna. Punto verso Trento e poi lì, evitando le strade abituali, risalgo verso alcune frazioni poste a mezza collina e zigzagando zigzagando frugo tra le periferie e scopro quegli angoli di territorio che intravvedi sempre, ma in cui non ti ci fermi mai. Entro in Valsugana e risalgo verso il placido laghetto di santa Colomba, annusando nell'aria il ricordo di una fantastica estate trascorsa lì intorno, a cavallo tra il Liceo e l'Università. Non ricordavo che ci fossero tornanti tanto piacevoli. In mezzo al bosco, nella quiete interrotta soltanto dal battito del motore, scorgo i picchi rossi, i picchi verdi e qualche scoiattolo. Oltrepasso il laghetto (uno specchio d'acqua delizioso quanto piccino, ottima meta per le passeggiate a piedi) e ripenso alla leggenda che vuole una città sepolta nel suo fondo, una città un tempo ricchissima per via delle numerose miniere d'argento presenti nella zona.
Proseguo, mi dirigo verso la Val di Cembra, scollinando il piccolo altipiano dell'Argentario, posto sulla cui sommità si trova il lago.
Dalle parti di Albiano il paesaggio cambia bruscamente: è industriale e pietroso insieme, sassoso e franto, rotto, spigoloso. Al posto dei boschi di faggi si aprono larghe cave di porfido. Ovunque. Lo sapevo bene, ma l'impatto non è mai facile. Tutti i macchinari sono fermi. Non si ode nulla. Scivolo fino al paese, dove alcuni mi guardano incuriositi.
Riprendo la strada risalendo quell'ampio e strano crepaccio che è la Val di Cembra: da un lato vigne a non finire, sull'altro versante soltanto cave di pietra. Una valle che si apre sotto le acque dell'Avisio, scavata a V e profondamente incisa. I paesi sul versante opposto sembrano castelli medievali, abbarbicati allo strapiombo. Più in bassi, e su tutte le coste, le vigne si allargano come un ampio tappeto, ricoprendo ogni metro del terreno.
Vado oltre, proseguo fino a Segonzano, località celebre per le sue caratteristiche "piramidi" di terra. Alte colonne di terra bianca, brulla sulla cui sommità reggono un cappellino di pietra, a difesa dall'erosione. saranno quindici anni che non passo da qui e le ricordavo ancora più imponenti; ma non sono male. Alla mia destra si apre una valletta stretta, sorda, tutta boschi. Al di là di quella dovrei trovare l'altipiano di Baselga di Piné. Provo. In fondo la valle termina in un divieto: "Strada consentita solo ai possessori di permesso ecc ecc". "Massì", mi dico io: "...anche i vigili saranno in ferie". Mi inoltro a passo d'uomo nella stradina proibita, stretta, ripida, popolata da numerosi turisti a piedi e in bici. Evito l'impatto con un furgone (che ci farà un furgone edile lì?) e mi inerpico su per la costa di montagna. Vorrei mettere la sordina al motore, ma infine non si disturba poi molto. Giunto in fondo, sbuco al di là del budello e, con un certo senso di liberazione, cerco di orientarmi aiutandomi col gps del cellulare.
Sono in Località 'Piazze' e dinanzi a me si eleva un'alta collina abitata dal paese di Bedollo. Sarà anche vicino a casa, ma non lo avevo mai visto. Tra il cielo grigio e il resto, una strana atmosfera pervade le mie sensazioni. Proseguo per un'altra stradina stretta e ripida (sono le mie preferite) ma priva di divieto, questa volta, volgendomi verso il passo del Redebus e la Val dei Mocheni.
Risalgo fino al passo, accompagnato soltanto da qualche ciclista. La strada è piacevole, abbastanza ampia e pochissimo frequentata. Ogni tanto getto delle lunghe occhiate alle montagne giù in fondo, per cercare di orientarmi e capire quali siano.Raggiunto il passo mi aspetto il classico bar e invece... nulla. Solo qualche casa ed un trattore su cui caricano del fieno. Scollino e scivolo verso la celebre Valle dei Mocheni.
Posseggono una storia interessante questi Mocheni: secoli fa delle comunità di lingua tedesca si trasferirono in questo angolo del Trentino e da allora conservano un forte senso di identità ed una lingua loro, in maniera simile ai cimbri degli altipiani sopra Asiago. Per chi fosse curioso, lascio un paio di semplici rimandi:
http://www.bersntol.it
https://www.valledeimocheni.it/
Il luogo è affascinante. Non si è molto in quota (il passo Redebus è alto 1455 m slm), ma i paesaggi sono di alta montagna: abeti, pascoli in forte pendenza, piccoli masi abbarbicati qui e là. Respiro il profumo del bosco e scivolo verso il fondovalle. Poi risalgo verso Palù del Fersina e raggiungo il termine ultimo della strada. Le cime del Lagorai fanno da steccato al catino della valle.
gas stations closest to me now
Bevo un cappuccino. Scatto un paio di foto e riparto. La GT sembra non appartenere più a questo mondo, le sue ruote planano sull'asfalto, il battito del cilindro si fa tutt'uno col mio cuore, le curve scivolano in fretta sulle mie spalle, come acqua sulle ali di un'anatra. Dopo un paio d'ore di guida tutta curve e tornanti, a velocità diverse, si ha la sensazione di esser divenuti una cosa sola con la nostra amata motocicletta. Ancor più bello, la moto appartiene ad una sensazione diversa, intima, meccanica e metafisica, per cui essa fa da ponte al paesaggio che mi viene incontro, amplifica i miei sentimenti, mi beo del profumo del bosco mentre mi concentro sulle asperità dell'asfalto.
Fin qui la bellezza; e la caducità?
Dopo aver controllato l'orologio, filo verso casa (il bimbo sarà ormai sveglio e pimpante). Tornato su strade ad alta percorrenza e lasciando l'incanto delle valli lontane e silenziose, imbocco una lunga galleria. All'uscita, scorgo un lampeggiante. Intuisco trattarsi di un'ambulanza. Rallento, mi sposto sulla corsia accanto. Incuriosito sbircio la scena: vedo un ragazzo riverso a terra, il volto sereno e assente, gli occhi chiusi, mentre uno dei soccorritori gli pratica il massaggio cardiaco. Lì accanto uno scooter è sull'asfalto. Quando sarà accaduto? cinque minuti prima, dieci, un quarto d'ora forse? Guardo quel rapido fotogramma e mi allontano, passandogli accanto. Mentre prego di non trovarmi mai al posto suo prego anche che non sia nulla di terribile, che quel ragazzo si riprenda. Ormai buona parte della poesia e della quiete mentale raccolta nei momenti precedenti è svanita. Ha lasciato posto a quella brutta immagine. Pensieroso, ma non turbato, vengo accolto a casa da un sonoro "Papà - moto!" di mio figlio.
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Mi spiace non avere molte fotografie da mostrare, ma ho preferito guidare anziché fermarmi per gli scatti (e poi non sono un bravo fotografo).