Parte II - domenica
Dopo aver passato una riposante notte e fatto una colazione più bavarese che continentale, col sole che baciava la terra germanica e il sapore amarissimo del ''caffè'' locale, inizia la visita al luogo principale della mia visita in Germania: il campo di concentramento di Dachau.
Dopo aver guardato la mappa, andando volutamente a memoria, prendo la Suzuki e mi dirigo verso questo luogo, cercando dei cartelli che mi possano portare direttamente verso quello che è il campo di concentramento più longevo della storia della Germania nazista.
Purtroppo, come pensavo, i cartelli sono piuttosto carenti, piccoli e presenti solo nell'immediata vicinanza del memoriale della serie '' Se ci vai devi avere il gps, se non ci vai e soprassiedi tanto meglio'' ( questo è un mio pensiero).
Parcheggio la moto e mi dirigo a piedi verso l'ingresso, percorrendo un lungo viale alberato, lo stesso che molti prigionieri percorrevano e presso cui arrivava la ferrovia, di cui ci sono ancora pochi segni.
Così appariva all'inizio, successivamente il campo contava numerosi sottocampi sparpagliati nelle vicinanze dello stesso, in tutta la Baviera.
Confesso che il mio animo era teso anche se dopo due giorni mi rendo conto meglio di dove sono stato, di cosa ho visto.
Arrivo all'ingresso dove c'è un edificio con torretta, le porte recano la triste frase ''Arbeit macht frei '' che non abbisogna di traduzione.
Il campo nato nel 1933 su volontà di Himmler per la detenzione ( inizialmente) di oppositori politici di vario stampo divenne nel tempo uno dei simboli della follia e crudeltà nazista verso l'essere umano.
Insediatosi in un'ex fabbrica di munizioni, simbolo di un'economia tedesca in declino, inizialmente ospitò circa 1000 detenuti che nel tempo aumentarono sempre più, annoverando prigionieri di guerra ( dal 1940), ebrei, omosessuali, zingari, immigrati e tutti coloro che erano considerati deboli o in opposizione col regime hitleriano.
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Trovarsi davanti a quella porta e a quella frase mi ha riportato la mente all'epoca
Con non poca emozione entro e mi ritrovo in uno spiazzo molto grande, con due edifici sulla destra, dei quali uno molto grande, a sinistra delle costruzioni, più lontane, assomiglianti a delle baracche.
Saltando due orde di turisti mi dirigo verso l'edificio sulla destra più lontano che scopro essere chiamato '' Il bunker '', un edificio lungo e stretto, composto di singole celle dove venivano detenuti e spesso torturati, non di rado arrivando alla morte, i prigionieri ''speciali'', spesso membri religiosi, oppositori politici, chiunque avesse per i nazisti un maggiore valore dei prigionieri comuni.
In queste celle venivano tenuti spesso senza luce e senza contatti col mondo esterno per giorni, settimani e a volte mesi, nonostante ciò il trattamento a loro riservato era ben migliore dei prigionieri comuni in quanto non dovevano lavorare all'interno del campo ( paragone che fa ben capire la situazione).
Nelle stanze centrali del Bunker ci sono delle stanze adibite al riconoscimento e alla registrazione dei dati, una stanza di interrogatorio, che presenta doppie porte perchè all'epoca non dovevano sentire le urla e i lamenti dei poveri prigionieri.
Tra i tanti aguzzini del campo alcuni spiccano per le loro atrocità, alcuni non erano nemmeno delle SS ma semplici criminali che venivano assoldati dai soldati per eseguire il lavoro sporco di tortura e punizione, non bastava una scusa o un motivo, bastava la semplice volontà di questi mostri, non degni di essere chiamati uomini.
Successivamente esco dal Bunker e mi dirigo verso l'edificio centrale, adibito a Museo, all'epoca aveva la funzione di cucina, se all'apertura del campo la razione giornaliera era molto magra e monotona, negli anni a venire era diventata così scarsa che non raggiungeva nemmeno le 100 calorie quotidiane tanto che, inutile scriverlo, la fame era una delle numerose cause di morte.
Nel museo viene analizzata, in lingua inglese e tedesca ( anche qui... perchè non ampliare le lingue, c'erano turisti orientali con i traduttori/smartphone in mano) la storia del regime nazista e del campo, con l'evoluzione nel tempo, descrivendo bene la giornata dei prigionieri, caratterizzata da ritmi di lavoro pazzeschi, torture gratuite che non di rado arrivavano a provocare la morte e così tutti i giorni della loro sfortunata vita nel campo dove nemmeno la notte poteva portare un briciolo di serenità.
Le baracche dormitorio, con letti a castello stretti e corti, potevano ospitare oltre 200 persone, se inizialmente le baracche erano poche, nel massimo sviluppo del campo di Dachau si potevano contare 34 baracche, all'interno delle quali i detenuti, ammassati come bestie, pativano le stagioni come le malattie che spesso sfociavano in vere e proprie epidemie, come quella di tifo che contagiò tantissimi prigionieri, i pidocchi.
Molti prigionieri di Dachau, come molti altri prigionieri nei lager nazisti, vennero usati dalla medicina tedesca a scopo sperimentale, venivano testati farmaci come le sulfonamidi ( antibiotici dai gravi effetti collaterali), venivano sperimentate la carenza di ossigeno, la resistenza dell'essere umano all'ipotermia e alle accelerazioni ( come su un aereo) che spesso arrivavano a provocare la morte.
Confesso che stare in quei luoghi era forte, intrisi di sofferenza e di brutalità che ogni mattina, dal 1933 al 1945, venivano impunemente perpetrate.
L'unica compagna nel campo, spesso agognata...era la morte.
La morte sotto ogni forma, spesso una liberazione da una sofferenza inimmaginabile e insopportabile, ancora più spesso frutto di un arbitrio brutale.
Camminando verso la lagerstrasse,strada centrale che portava al campo da lavoro,contornata da alberi altissimi, gli stessi dell'epoca, affollato di pensieri e tristezza, calpestando la stessa terra di quelle povere persone sono arrivato al forno crematorio, dove le salme venivano bruciate.
Fino al '40 veniva usato un singolo forno, successivamente per '' La Soluzione Finale'' ne venne costruito uno più grande, adiacente, che comunque non sopperiva al ''lavoro'' , tanto che i nazisti misero migliaia di cadaveri in enormi fosse comuni, ora coperte dalla nuda terra, da una croce e una targa che ne dà un umano ricordo.
Vicino al forno più grande ( di nome Barrack X) vivendo un grande disagio, sono entrato nella camera a gas, una delle poche non distrutte dagli americani nella liberazione dei vari campi, i nazisti la chiamavano '' Brausebad '' o sala docce dove quasi 200 prigionieri alla volta potevano trovare la morte per asfissia a causa dell'agente Zyklon B o acido cianidrico, in poche decine di minuti sopraggiungeva il silenzio.
E' difficile descrivere cosa si prova in un luogo del genere, posso solo dire che in quella stanza non sentivo nemmeno il mio respiro, immobile in un angolo, a ricordare quelle troppe persone che vi erano state, ho lasciato una parte di me stesso in quella stanza quadrata. Difficile da descrivere oltre.
Il 29 aprile 1945 il campo venne liberato dai soldati statunitensi e per i sopravvissuti tutto questo finì, anche se le loro anime erano ormai segnate dalle morti di tanti compagni e da un'atrocità che verrà ricordata per sempre.
Infine, sono uscito, come fossi stato sordo e cieco agli stimoli dell'ambiente, alla bella natura che contorna questo luogo.
Mi chiedo come si possa arrivare a pensare, progettare, eseguire tali azioni con così assurda lucidità e precisione, come un protocollo aziendale, a ripensare a quel luogo vengo avvolto da una grande tristezza ma sono soddisfatto di esserci stato, come appassionato di storia e soprattutto come essere umano, una parte di me è rimasta là, vicino Dachau, qualcosa è tornato con me, non so dire cosa, forse una lezione, forse un monito, forse un ricordo.
Spero di non avervi annoiato, non è il ''solito 3D'' dei miei viaggi.