Salve a tutti...rientro in punta di piedi, dopo un lunghissimo periodo costellato di peripezie e problemi, raccontandovi questo giro che ho fatto sabato scorso. Purtroppo questi ultimi mesi sono stati particolarmente duri, spero quindi perdonerete la mia assenza. Se vi può piacere, comunque vi racconto questa ultima piccola avventura...Vi avverto che sarà un pò lunga e fa parte di un libro che vedrà le stampe fra pochissimo (ho inserito questo racconto proprio all'ultimo momento).
La scorsa settimana ho fatto ripartire l'assicurazione della moto. Erano mesi che non vedevo l'ora di farmi un giro, così sabato con molta tranquillità dopo aver pranzato, sono andato a prendere la moto. Dovevo incontrarmi con un amico, per un giro fugace, ma alla fine non è potuto venire e sono dovuto andare da solo. Erano le 14.30 ed il mio programma era di fare un paio di ore di strada tra andata e ritorno. La moto è ferma da un pò. Faccio le solite operazioni di routine: qualche colpo con la frizione per farla muovere un pò, qualche spedivellata ed un pò di metri con la marcia alta per far tornare in circolo l'olio. So già che non avrò grossi problemi, nonostante la sosta e la mancanza della batteria. Non mi sbaglio: dopo qualche colpo si avvia alla perfezione. La lascio scaldare un pò mentre mi allaccio la giacca, il casco ed i guanti. Sotto i jeans indosso una calzamaglia ed ho un paio di stivali alti in pelle ( con la parte interna in "pelliccia"). Sento un pò caldo e quindi apro le prese d'aria frontali della giacca, poi mi avvio.
Non so di preciso dove andare, seppure ho (da mesi) preparato una mappa su google con tanti punti di interesse e qualche itinerario. Solitamente vado verso la zona di Teramo per salire verso il Gran Sasso. Questa volta, invece, vado verso sud. Il primo tratto di strada è noioso perchè è una statale. La moto ha gomme troppo vecchie e sento la coda un pò ballerina. All'altezza di Città Sant'Angelo decido di salire per dirigermi verso Penne e arrivato lì avrei poi preso la strada del ritorno. Il pile che indosso sotto la giacca ha la zip che mi da fastidio al collo, quindi mi fermo nel parcheggio di un centro commerciale per sistemare bene tutto, controllare la strada da prendere e ripartire senza perdere altro tempo. La giornata è calda e sembra tutto molto sonnolento. Anche io mi domando se ho davvero voglia di uscire in moto, ma ormai sono a cavallo, perciò tanto vale cavalcare. Intanto gruppetti di persone, alla spicciolata, entrano controvoglia nei negozi. Si guardano intorno come se stessero facendo qualcosa di male, poi si lasciano inghiottire dalle porte a vetri e dalle merci in esposizione. Con un brivido lungo la schiena, riaccendo la moto e riparto.
Inizia la salita, dolce, verso le zone pedemontane.
Da qui in poi non consulto più l'itinerario e mi affido alla cartellonistica. Zone pianeggianti con campi coltivati si alternano a piccoli gruppi di case sparse. Una moderna Bmw, arrabbiatissima, mi sfreccia accanto. Silenziosa e letale non l'avevo proprio sentita arrivare; poco dopo, un trattore mi concede il passo ed io lo saluto volentieri. Esco dalle zone più frequentate entrando nel comune di Penne. E' ancora pomeriggio e la sonnecchiosa provincia abruzzese aspetta la domenica, come nella canzone di Sergio Caputo "Un sabato italiano". Mi imbuco su strade provinciali come un ladro, cercando di passare il più inosservato possibile.
Arrivato ad un bivio con il segnale di un agriturismo chiamato "le tre poiane" decido di proseguire per la mia strada. Non immagino che poco dopo avrei vissuto una delle esperienze più belle della mia vita. Percorro una curva larga ad andatura più che tranquilla quando nel silenzio più totale vengo affiancato da una poiana. Plana a mezz'aria ed è tanto vicina che se allungo il braccio sinistro le posso toccare le zampe. Percorriamo insieme un kilometro. Non sbatte una volta le ali. Le penne vibrano mentre tagliano l'aria. La guardo e sembra tranquilla e fiera, mentre io sono senza fiato: forse dico qualcosa nel chiuso del casco integrale che dovrebbe suonare come "Wow". Mi sento libero. Mi sento come se stessi cavalcando nella steppa in mezzo a decine di cavalli. Il rapace si inclina e mi taglia la strada. Non ho nemmeno bisogno di frenare tanto è stata precisa nel prendere le misure ed il tempo. Inclinandosi sfiora con la punta delle ali il faro della mia amata motocicletta e poi svanisce nel bosco vicino. Era grande. L'apertura alare non meno di un metro. Io mi fermo in una piazzola poco dopo. Mi tremano le gambe dall'emozione. Purtroppo non avevo videocamere attive ed il mio telefono era nella giacca. Da una parte è stato meglio così: rimarrà un ricordo unico, mio, vissuto secondo per secondo. Scatto una foto alla moto parcheggiata, per ricordo. La prima delle pochissime di questa giornata.
Riprendo quindi la strada. Sono rinvigorito e decido di allungare fino a Farindola. Il traggitto non è particolarmente avvicente. Certamente offre dei paesaggi bellissimi, ma il tempo stringe e non mi fermo per fotografare. La moto mi piace sempre di più. La gomma dietro è probabilmente andata in temperatura e non fa più i capricci. Sono circa le 16.30 (grossomodo) e con l'avvicinarsi della sera e con l'altitudine inizia a scendere la temperatura. Arrivo ad un nuovo bivio: proseguendo tornerei verso casa, mentre salendo avrei preso la strada per Castel del Monte, passando per Rigopiano e quindi percorrendo il "valico di Capo la Serra" a 1600 metri s.l.m.. Mi fermo a riflettere per un secondo e prendo a salire. La mente è completamente sgombera da ogni pensiero e mi sento oramai tutt'uno con la moto e con ciò che mi circonda. E' una sensazione terapeutica: sono il vecchio Saggio della Montagna.
La strada inizia ad inerpicarsi tra qualche tornante. L'umidità sale ed inizio a percepire i primi segnali della nebbia. Ci sono solo io. Sullo sfondo il massiccio montuoso del Gran Sasso è innevato e punge l'aria con la sua presenza. Mi viene voglia di fermarmi dopo ogni tornante per documentare lo spettacolo di questa terra.
Mi sento strano come se avessi ricordi di una vita passata che vogliono tornare a galla. Non ero mai salito in quelle zone eppure mi sento a casa e da sopra le nuvole sento il richiamo della terra. Sono ancora soltanto io, nel pieno dell'inverno.
Da qui in poi, purtroppo o per fortuna visto che sono un pessimo fotografo, non ho più immagini da regalarvi. Cercherò perciò di trasmettervi le sensazioni con le sole parole.
Continuo a salire e nel pieno del freddo arrivo a Rigopiano. Un posto fantastico ed altrettanto triste, balzato alle cronache per una sventurata valanga che investì una struttura ricettiva causando sciagura e morte in quella valle. Non mi fermo per guardare o fare foto. Le sventure meritano il rispetto adeguato così come le vittime del disastro. Mi spingo poco più sopra per arrivare al valico e la neve fa capolino dai bordi delle strade ed il gelo inizia a mordere le mani e le gambe. Con estrema rapidità il massiccio del Gran Sasso inghiotte il sole, eliminando qualsiasi forma di luce. Ora sono soltanto io, nel pieno dell'inverno, al buio, nell'Abruzzo selvaggio. Decido per tornare indietro. La moto è senza batteria e devo tenerla un pò allegra per per impedire che si spenga con le luci accese. Percorro la strada a ritroso fino a tornare all'hotel Rigopiano e prendere la strada verso Castelli. Percorro un tratto disseminato di sassi caduti dalla parete montana. E' buio e la temperatura è scesa drasticamente. Realizzo che mi sono fatto fregare dall'entusiasmo e che non c'è nessuno nel raggio di svariati kilometri, escludendo lupi, cinghiali ed ungulati vari. La moto inizia a borbottare e se accelero tende a spegnersi. Mi si gela il sangue quando capisco che devo inserire la riserva. Ero convinto di essere partito con il serbatoio pieno: ho percorso 100 Km e quindi a meno di un consumo anomalo mi sbagliavo. Arrivo ad un bivio: proseguire per Castelli (distante 6 km dall'indicazione) o tagliare per Arsita. Il telefono non prende, ma non so perchè sono convinto che la seconda opzione sia quella vincente.
Sono un pò agitato a dirla tutta, penso di essere stato sprudente: "questa è la volta buona che rimani a piedi e devi cavartela da solo". Poi riacquisto tranquillità pensando che se mio nonno è tornato a piedi dalla Russia, io posso tornare a casa da Rigopiano, in moto. Scendo verso Arsita percorrendo una strada che è praticamente completamente dissestata, una mulattiera insomma. Nel giro di Km non si vede niente. E' tutto buio e dopo qualche minuto arriva la nebbia. Il banco è talmente fitto che sono costretto ad alzarmi sulle pedane per non essere investito dal riverbero del faro e vedere qualcosa. La temperatura è bassa così come la velocità di crociera. La soglia di attenzione, invece, si è alzata al massimo livello: ho paura di scivolare o di investire qualcosa e devo percorrere tratti a strapiombo, nel buio più totale.
Intravedo una luce calda nel mezzo dell' oscurità e dopo qualche minuto la raggiungo. E' la casa di un contadino che prontamente mi viene incontro nel suo cortile per chiedermi cosa voglio. Gli spiego che mi sono perso e chiedo se c'è un benzinaio nei paraggi. Mi chiede da dove vengo e seppure non è che sia così lontano il mio paese (circa 50 Km) esclama un "la Madonn'!". Mi fornisce le indicazioni e si offre di riempirmi il serbatoio. Rifiutando lo ringrazio caldamente, perchè da quello che ho capito sono davvero vicino al distributore e non voglio perdere altro tempo ed abusare dell'ospitalità. Lo saluto con la mano andando via nella notte, come un folle.
Arrivo finalmente al distributore. Tra lo stupore del benzinaio (fa davvero freddo) e di una signora su un fuoristrada che domanda sottovoce all'uomo chi sono, chiedo di fare il pieno alla moto. Alla fine il conto sarà di 15 euro. Nel tragitto sono stato scosso da qualche brivido di freddo e sento un pò di stanchezza. Devo viaggiare ancora un pò, tra le altre cose con la visiera alzata perchè il mio casco ha quella fumè e non vedo nulla quando scende il buio. Chiedo se sono sulla strada giusta per tornare verso la costa e vengo rassicurato dall'uomo. Mi rimetto in viaggio, ma il freddo si fa più intenso e dopo qualche kilometro, verso Bisenti, decido di fermarmi ad un bar lungo la strada per prendere qualcosa di caldo. Lascio la moto fuori, sotto un lampione, ed entro tra la curiosità dei ragazzi e degli altri avventori concentrati sui loro Montepulciani d'Abruzzo. Quando ordino un ginseng in tazza grande, la curiosità svanisce e tornano alle proprie attività. Uscendo un piccolo capannello di persone ha circondato la moto e la studia con curiosità. Vi lascio immaginare che quando scalcio per avviarla, si solleva lo stupore generale e di nuovo saluto tutti, fagocitato dal buio della via del ritorno.
Il tragitto verso casa è calmo. Fuori dalla zona montana, ora, mi sento più tranquillo. La strada è ben illuminata e l'unico fastidio è il dolore al collo probabilmente causato da una pesante tracolla che mi sono portato appresso. Quando arrivo in garage sono soddisfatto della giornata e delle avventure inaspettate. Ho il collo dolorante e gli occhi completamente rossi per il vento. Tutto svanirà nei vapori di una doccia bollente...tutto, tranne la felicità per le cose vissute in sella per le strade di questa terra.