Neophytus
.. e invece una risposta provo ad abbozzarla, perché non mi soddisfa la non-risposta che ho dato a Slow poco fa.
La parola chiave, mi pare, è "nostalgia". Mi spiego.
Nelle lingue occidentali, dunque nel modo di essere, sentire, pensare che è familiare a tutti noi, abbiamo due declinazioni fondamentali di questa parola.
La prima è quella il cui paradigma ci è stato lasciato una volta per sempre da Omero e dal suo Ulisse. Etimologicamente, come saprete, nostalgia significa "doloroso ritorno". L'ansiato ritorno (nostalgia) dell'eroe omerico è doloroso in una duplice accezione: perché il sentimento del ritorno alla sua patria (nostalgia) lo interpella e lo perseguita in ogni momento del suo lungo, accidentato, doloroso viaggio (nostalgia) di ritorno; perché una volta che sarà effettivamente tornato alla "petrosa Itaca" la troverà, con suo sommo dolore, infestata dai Proci che attentano a essa, a sua moglie, a suo figlio, alle sue ricchezze, alla sostanza e all'oggetto stessi della nostalgia che ha patito fin lì.
La nostalgia di Ulisse, la più antica che conosciamo, è, direi, la nostalgia che ha luogo nel "mare chiuso". È una nostalgia mediterranea, che in letteratura conosce almeno un altro straordinario campione. Si tratta del marinaio della fu Regia Marina 'Ndria Cambría, protagonista del romanzo Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo; la cui Sicilia egli, sbandato dopo l'8 settembre 1943, ritrova devastata dalla corruzione prodottavi dalla guerra.
Non ne sono certo - e avremmo bisogno del contributo di Ezio che conosce l'ebraico - ma credo che anche la nostalgia del Popolo d'Israele, benché nostalgia che si sviluppa in ambiente "terragno" abbia a che fare con quella radice "acquatica", antichissima, antica più di Omero che la canta, se osserviamo la storia dei popoli che viaggiano, e colonizzano, il bacino del Mediterraneo nel corso dei secoli dei quali oggi scriviamo la storia (peraltro, l'ebraico e le lingue semitiche non sono lingue occidentali).
In secondo luogo, vi è la "nostalgia oceanica", che è impropriamente tradotta con nostalgia e che è detta soltanto, che io sappia, dalla lingua portoghese: è la saudade. Parola al limite del traducibile (e perfino del pronunciabile, nella fonetica neolatina) e che indica un profondo, doloroso, inestinguibile languore per un oggetto che non è oggettivamente definibile o definito. È nostalgia, ma di che cosa, esattamente? Anche perché la narra il portoghese Camoes nel XVI secolo, ma la interpreta in modo forse insuperabile la musica brasiliana del XX, con la samba e la bossa nova. È una nostalgia che ha due sponde e che si contende un unico oggetto, irraggiungibile da entrambe.
Ipotizzo che anche in questo caso l'oggetto della nostalgia abbia a che fare con l'immaginazione di un'Isola, metaforica o reale. Ed è in questa idea dell'Isola, e del suo "recupero", per usare le parole di Slow, che dovremmo cercare "la salvezza" e cioè, in soldoni, una vita degna per tutti gli esseri umani?
Ora io mi domando, dopo avervi letto, se non vi sia una terza possibilità, oltre le nostalgie che conosciamo. Una possibilità evocata dalla "visione" del siciliano di Herzog (i molti luoghi sovrapposti) o, per converso - e badate che lo dico da non credente - da un'opera che ne struttura uno soltanto che non si è mai dato nella storia ma che proprio lì deve darsi, come la Civitas Dei di Agostino.
Herzog
(intanto gongolo per D'Arrigo, ed esulto.
Poi medito, mastico, assaporo, elaboro. La nostalgia e il nostos sono elementi della dimensione ontologica dell'uomo: sempre dobbiamo far ritorno verso qualcosa - qualcosa che ognuno identifica come vuole e può, credente, ateo, agnostico, umanista impenitente e imperituro 🙂. Davvero anche e me piacerebbe aggiungere qui la voce di Ezio)
e-partesana
Neophytus wroteMilano mi piace. Mi è sempre piaciuta: sin dal tempo in cui, bambino, intravvidi dal finestrino del treno l'immensa volta a botte della stazione centrale, così simile alle immagini della Victoria Station che avevo visto al cinema o alla televisione.
Dev'essere per questo che mi piace Milano. Che mi piace così com'è. Perchè è l'immagine di un'utopia.
:clap:
Un po' lunghetto eh?
Devo fare solo due piccole correzioni: il quartiere Isola si chiama così perché era "isolato" (in una sorta di triangolo) tra ferrovia, dogana e canali vari. E "Ezio's", purtroppo, è una bevanda assai simile allo spritz che si può ordinare solo in tre o quattro bar dell'Isola. :cool:
Un abbraccio a Neo e a tutti voi...
Ezio (incinto di una V7 rossa)
e-partesana
Herzog wrote(intanto gongolo per D'Arrigo, ed esulto.
Poi medito, mastico, assaporo, elaboro. La nostalgia e il nostos sono elementi della dimensione ontologica dell'uomo: sempre dobbiamo far ritorno verso qualcosa - qualcosa che ognuno identifica come vuole e può, credente, ateo, agnostico, umanista impenitente e imperituro 🙂. Davvero anche e me piacerebbe aggiungere qui la voce di Ezio)
In verità a me non piace la nostalgia: è una posizione irreparabile e, nonostante l'età, io non sono ancora pronto per l'irreparabile.
Certo, esistono nostalgie future, di una cosa che fu nel remoto passato e che vorremmo ancora, e nostalgie immaginarie, dipinte di giallo e di blu, ma alla fine si rassomigliano tutte e hanno tutte quel ghigno del "te l'ho fatta!" che fa venire voglia di dissociarsi.
La nostalgia - come la vendetta e il perdono - ha a che fare col tempo e ripete sempre la stessa lezione: "non ora, non qui". È vero che "qui" e "ora" (padre Hegel, perdonami...) sono la determinazione più astratta che ci sia: tutti i "qui" sono "qui" e tutti gli "adesso" sono "ora", però senza dialettica non si va da nessuna parte. Dei sentimenti bisognerebbe fare un poco di pulizia, non fosse altro perché ogni mercato in corso oggi ce ne vende d'ogni sorta con pacchetto e fiocco, per così dire. E allora fare distinzioni tra nostalgia e rimpianto, rimpianto e rimorso, rimorso e ricordo, etc. etc.
Non mi risulta che gli ebrei abbia una "tradizione" sulla nostalgia e certo non è liquida. L'unica è quella ripetuta nel "seder" pasquale, che giura l'anno a venire "A Gerusalemme". La parola
pluralia tantum è "ga'guìm" - געגועים - maschile.
Siete un branco di matti, lo sapete, vero?
Vi abbraccio,
Ezio.
Herzog
Ricco di molti spunti anche l'intervento di Ezio.
Sono d'accordo: la nostalgia è un sentimento irreparabile. E sono d'accordo perché è la vita stessa a essere irreparabile (dal mio ristretto punto di vista). Per questo non credo si tratti di esser pronti: non lo saremo mai.
Che occorra forse distinguere meglio tra nostalgia, rimpianto, desiderio, è probabilmente vero; occorrerebbero molte pagine per farlo.
Posso solo dire che la nostalgia/rimpianto non è, per così dire, un movimento di ritorno, ma un andare verso, un procedere in avanti, verso un orizzonte inattingibile (andare in moto, lo dico per giustificare un debolissimo in-topic, ne è una buona rappresentazione).
E quel "A Gerusalemme" del seder di Pèsach mi pare l'archetipo perfetto di ogni nostalgia.
In ogni caso e per tutte le evenienze: sì, mi pare evidente che siamo tutti matti (e irreparabili, e probabilmente imperdonabili 🙂)
Neophytus
Potrei essere senz'altro d'accordo con Ezio circa il giudizio sulla nostalgia - mentre condivido il suo punto di vista sul mercimonio dei sentimenti - se la nostalgia stessa fosse una disposizione dell'anima desiderante e non una tonalità affettiva che si dà. La nostalgia di Ulisse è irreparabile, perché non è lui a "sceglierla" - ciò che Ulisse "sceglie" è soltanto la convenienza sociale del ritorno - bensì, al contrario, è da essa disposto e determinato. Il ritorno di Ulisse si fa nostalgia, molto a suo malgrado. Vero che il mondo omerico è popolato-dominato dagli dèi, ma, anche caduti quelli, la nostalgia omerica come archetipo delle nostalgie possibili (ci ficco dentro anche la saudade) rimane tale, in quanto destino dell'uomo che si mette in viaggio.
Voglio dire, che proprio nell'epoca della "schiavitù senza catene e senza spargimento di sangue" che caratterizza l'odierno "turismo" (Walcott) sarebbe improbabile, e falsa, l'insorgenza di una mozione "ulissiaca", cioè autenticamente nostalgica... 😉
Slowhand
E se fosse invece il paolino "già e non ancora"?
Se la nostalgìa non fosse che espressione di questa tensione (che potremmo ben definire dialettica) verso il recupero del nucleo originario e fondante del sè, volto verso il passaggio allo stadio ultimo della vita?
Paolo (ma anche Giovanni) descrive bene questo momento di passaggio, il momento in cui è necessario purificarsi per essere poi "pronti" nel momento della seconda (e definitiva) parusia. Il tutto altro non è che una traslazione della "speranza" che muove tutto l'AT, a partire dalla promessa di Esodo, la terra dove scorrono latte e miele.
Anche volendo sfrondare il discorso dalle implicazioni religiose (personalmente non vedo il perché, ma è comunque una scelta accettabile), e anche cancellando il Paradiso Terrestre, resta comunque implacabile la sensazione che la nostalgia sia un richiamo all'età dell'oro, qualcosa che non è solo ricordo o rimpianto o rimorso, e allo stesso tempo non è neanche solo "desiderio": escatologia che è teleologia vera e propria, tensione e direzione storica, tanto personale quanto universale.
In questo senso anche il nostos di Ulisse (tra l'altro, l'unico di tutta la tradizione paraomerica che, sia pure tra mille peripezie, l'Eroe porta a buon fine), altro non è che un vagare per il deserto, in attesa di ri-trovare la terra dei padri, dove sono le radici di ciò che siamo e il senso di ciò che dovremmo essere, status verso cui ci porta la "nostalgia", principale e solo (ancorché occultato) motore del viaggio. E anche quello di Ulisse è un ri-trovare che non è impossibile ritorno a un passato immobile dato come felice, ma inizio di una vita nuova, di un nuovo status dell'anima che l'Eroe si è guadagnato con la vittoria.
E, come una volta per tutte ha insegnato Joyce, forse non siamo tutti Ulisse? Tra il viaggio del re di Itaca, la giornata di mr. Bloom, la vita di San Francesco d'Assisi e quella di un qualsiasi signor Rossi, c'è una storia che è davvero solo metafora delle altre?
Neophytus
Sí a qualcosa del genere pensavo, pur nella mia ignoranza del testo paolino. Peraltro, mi pare molto difficile staccare la nostalgia da ciò che è religioso (da non confondere con ciò che è "confessionale"): lo stesso Ulisse, al termine del suo nostos e una volta "ripulita" la sus terra dai pretendenti, stabilisce "nuovi patti": nel segno dei nuovi patti si conclude l'Odissea.
Quanto alla possibile "nostalgia ebraica", io pensavo a Mosè (è la figura che mi è piú simpatica tra i profeti del Vecchio Testamento). Non conduce egli il popolo eletto nella perduta terra di Canaan? Non è mosso da una imperiosa nostalgia? E non è questa nostalgia (mi permetto di chiamarla cosí) irreparabile e non realizzabile per lo stesso Mosè, che, a differenza di Ulisse, non riesce a giungere alla Terra Promessa? (non perché la sua vita fosse troppo breve, glossa Kafka con grande finezza, ma perché "era una vita umana").
I deserti del mare (dove l'ho letto), il mare come deserto, oppure: il mare e il deserto: intuisco un'affinità che ha a che fare in ambedue i casi con la nostalgia...
Herzog
(io credo che nemmeno Ulisse, che non avendo nome ha tutti i nostri nomi, riesca in realtà a raggiungere la meta del suo viaggio, semplicemente perché nessuno lo può - e infatti la profezia lo vede morire lontano, di nuovo e inevitabilmente, da casa)
Neophytus
Herzog wrote(io credo che nemmeno Ulisse, che non avendo nome ha tutti i nostri nomi, riesca in realtà a raggiungere la meta del suo viaggio, semplicemente perché nessuno lo può - e infatti la profezia lo vede morire lontano, di nuovo e inevitabilmente, da casa)
Diavolo di un Herzog, e come darti completamente torto?
Ma nemmeno completamente ragione 😃
L'Ulisse dantesco muore lontano da Itaca, e sul mare, mentre quello di Omero non si sa che fine faccia :rolleyes: (anche se Tiresia, nell'Odissea, gli predice una morte lontana dalle acque) e quello dei poemi ciclici viene assassinato proprio a Itaca. Nel mito di Ulisse ci sono tanti Ulissi, e uno è senz'altro quello che ricordi tu.
Invece la tradizione del Libro di Mosè è unica, ed Ezio dovrebbe fornirci un supplemento di spiegazione... Non è "nostalgia" quella di Mosè? Eppure, indubitabilmente, è un ritorno (dopo la cattività egiziana). E non mi si vorrà far credere che si tratta di un ritorno liscio liscio, senza inconvenienti e senza dolore? Mi piacerebbe sapere che cosa ne dice il Talmud.
Quanto alla tradizione "moderna" del popolo ebraico
storico, che incominciò a
tornare in Palestina sin dalla seconda metà del XIX secolo? Il ritmo di questo ritorno (che in termini più asettici dovremmo definire migrazione) è addirittura numerato e scandito: il Primo, il Secondo, ecc. (in ebraico si dice 'Aliah, ovvero "salita" - a Sion, in memoria degli antichi pellegrinaggi). E il corpus giuridico dello Stato di Israele, che non ha alcuna Costituzione quale legge fondamentale, non annovera forse una fondamentale Legge del Ritorno?
Slowhand
E gira che ti rigira (è anche questo nostro, pur se solo mentale, un errare -verbo dal duplice significato- nostalgico, in cerca di una spiegazione, o magari di una verità) sempre lì si torna, a quel racconto fondante di tutta la speculazione e la religiosità occidentale, a quel popolo che vuole tornare a "casa", e una volta arrivato realizza che Mosé (che re non volle farsi) li ha guidati a una casa... provvisoria, a un Regno che c'è ma non c'è ancora e che dovrà essere realizzato dal Re che arriverà.
E quando quest'ultimo arriva (come alcuni credettero e credono, e altri no e non ancora), anche lui dice che si, è venuto il momento di un altro Tempo, ma non ancora.
E il viaggio prosegue...
SAS
Molto Zen ..... mi ricorda un pezzo di Lo zen e il tiro con l'arco dove il Maestro dice che l'arciere mira al bersaglio ma non al bersaglio ed infine a se stesso ma non a se stesso.... :gratt: :gratt: . A quel punto sinceramente ho chiuso il libro per riprenderlo in un momento di maggior concentrazione....
e-partesana
Mah... A me queste interpretazioni della nostalgia come "principio speranza" non convincono. È vero che molti, non tutti, movimenti di liberazione hanno fatto riferimento a miti sulla "età dell'oro", ma sia logicamente che ontologicamente (come direbbero i filosofi) il mito è posteriore alle condizioni materiali che spingono al cambiamento.
Sull'ebraismo scrivo solo che l'evento fondante è l'uscita dalla schiavitu. A Mosè non viene promessa la terra dei suoi avi, ma solo la libertà.
Abbiate pietà della minuscola tastiera del mio cellulare per la brevità...
Un abbraccio a tutti,
Ezio.
Neophytus
e.partesana wroteSull'ebraismo scrivo solo che l'evento fondante è l'uscita dalla schiavitu. A Mosè non viene promessa la terra dei suoi avi, ma solo la libertà.
Ezio.
Uhmmm... Tastierino permettendo, 😉 temo che qui si possa innestare una controversia talmudica. Non so che cosa dice il Midrash, ma ciò che dice la Bibbia lo ricordo bene:
Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese
verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo.]Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora và! Io ti mando dal faraone. Fà uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!” (Es. 3, 7-10, ripetuto in Es. 3, 17-18).
Slowhand
E poi Mosè, nel recuperare la libertà, ha immediatamente la percezione che questa libertà non possa realizzarsi altrove che nella terra promessa. E il legame è così forte da spingere Israele a portare con sé le spoglie del patriarca Giuseppe, per adempiere la promessa secondo cui avrebbero riposato nella terra dei padri.
Del resto, per moltissimi ancora oggi l'idea dello Stato di Israele è strettamente legata non a "una qualsiasi" estensione territoriale, ma a "quella" terra, la sola nella quale Israele possa essere libero.
Neophytus
Slowhand wroteE poi Mosè, nel recuperare la libertà, ha immediatamente la percezione che questa libertà non possa realizzarsi altrove che nella terra promessa. E il legame è così forte da spingere Israele a portare con sé le spoglie del patriarca Giuseppe, per adempiere la promessa secondo cui avrebbero riposato nella terra dei padri.
Del resto, per moltissimi ancora oggi l'idea dello Stato di Israele è strettamente legata non a "una qualsiasi" estensione territoriale, ma a "quella" terra, la sola nella quale Israele possa essere libero.
Sì. Alle radici del nazionalismo sionista che promuoverà le grandi 'Aliah (salite, ritorni) in Palestina del XIX e XX secolo vi è senz'altro questa connotazione "tribale" della Patria intesa come "sangue e suolo": motivo, anche, della contesa con le popolazioni arabe ivi residenti. Ma non entriamo
in politicis (non è consentito dalle regole del forum!). 🙂
A me stupisce e affascina questo strettissimo legame che il Popolo Ebraico ha saputo mantenere nel corso della Diaspora con il... "materiale formativo" del suo essere e della sua cultura: la tradizione del Libro. Tanto, ma tanto forte da non lasciare indifferenti uomini che non confessanouna particolare osservanza religiosa, come Freud, Kafka, Schoenberg... E che uomini! Tutti e tre si interrogano sulla figura di Mosè. Sarà un caso? Voi che dite?
serpico
Io riesco a seguirvi poco perché mi mancano le basi per capire le vostre citazioni e riferimenti. Penso pero una cosa. .. se una persona è in pace con se stesso e i suoi sentimenti e sta godendo del presente che motivo c'è di creare il sentimento della nostalgia?
Per me la nostalgia è un malessere e non uno stato di positivo divenire
Slowhand
Io mi ripeto: non è affatto un caso. Esodo (diceva prima Ezio), è "fondante" per Israele, e per la promessa di libertà che lo origina e lo guida, e Esodo è Mosé.
Ma anche per noi, che siamo israeliti "solo" per discendenza spirituale (e noi cristiani un po' di più degli altri, perché la Chiesa di Cristo è il nuovo Israele universale, katà-olos, aperto a tutti: un Israele non più legato a terra e sangue), e per tutto l'occidente, Esodo è fondante. In Esodo si danno i Dieci Comandamenti (che in realtà sono più di dieci, ma questa è un'altra storia), ed è fuori dubbio che, quale che sia l'origine di quel testo, si tratta di un momento che segna per sempre la storia di tutti. Ed è il primo nucleo di quel grandissimo ideale che sarà poi sviluppato da Gesù: la Verità rende liberi, e la Verità si esprime attraverso una legge che libera. L'uomo è libero, nella terra promessa che gli appartiene e che appartenne ai suoi padri (e nel cristianesimo questa "terra dei padri" coincide con l'universo, perché unico è il Padre Universale, e Sua è la terra e tutto ciò che contiene) solo grazie alla Legge. E' la Legge che rivela all'uomo il bene e il male, e quindi la via per realizzare la propria umanità secondo Giustizia. Al cammino reale di Israele, nel deserto verso la Libertà della terra promessa, si accosta un cammino spirituale di avvicinamento alla Verità che libera.
Sarebbe anche interessante approfondire un po' la "giuridicità scientifica" di quel testo, costruito secondo i dettami che ancora oggi regolano la codicistica (almeno, quella fatta bene...); ma è operazione che ci porterebbe lontano dal discorso principale, e già con le ramificazioni stiamo dando giù pesante... 🙂
Neophytus
serpico wroteIo riesco a seguirvi poco perché mi mancano le basi per capire le vostre citazioni e riferimenti. Penso pero una cosa. .. se una persona è in pace con se stesso e i suoi sentimenti e sta godendo del presente che motivo c'è di creare il sentimento della nostalgia?
Per me la nostalgia è un malessere e non uno stato di positivo divenire
I riferimenti hanno una importanza relativa, o di pura curiosità rispetto al tema, e in effetti tu hai ragione. La nostalgia è la spia di un malessere, e insieme la spinta a risarcire l'animo da quel malessere 🙂
Il malessere di Ulisse è la lontananza da Itaca; quello di Mosè... la schiavitù del suo popolo. Io, molto più modestamente rispetto a quei due grandi eroi della cultura... ho un po' di nostalgia per la mia infanzia 🙂 che, per via della mia storia intima, si trova separata dal mio essere adulto anche fisicamente, e collocata altrove da dove ho vissuto negli ultimi 45 anni... E sai cosa ti dico? Non fosse stato per la mia adorata motocicletta, il lavoro di risarcimento sarebbe stato più lungo e... più nostalgico ancora! 🙂
serpico
Quindi sei un eterno bambinone?! :lol:
Anche io sono lontano da "casa" e l'infanzia è solo in ricordo. .. ma mi sento uguale anche adesso. . Ossia a casa e soprattutto infante! 😛