AndreaZ
E’ FINITA LA TEMPORADA, IN SPAGNA…
E’ finita la temporada, in Spagna…
È stata una buona stagione, tutto sommato il raccolto è stato all’altezza delle aspettative più rosee.
E’ finita la Temporada, e sta per iniziare “El miedo de los galgos”.
Ogni anno, nelle regioni più profonde e arretrate, nella Castilla-La Mancha, in Andalusia, in Extramadura, un galghero fa nascere qualcosa come cinque decine di cani. Non è affatto difficile. Ogni cane femmina, tenuta in vita col solo scopo procreativo, denutrita ai limiti della sopportazione e inseminata con la violenza legata ad una sedia, gli regala una cucciolata di otto, dieci cuccioli robusti e attivissimi.
Di questi, quasi la totalità cresce rapidamente senza apparenti problemi per il padrone che, di suo, ci mette solo un po’ di pane secco e una tinozza d’acqua. Il resto è sole, sabbia, polvere, sbarre di ferro putride e, ovunque, fetore di escrementi da sovraffollamento. E gabbie in buche scavate nella terra.
I giorni passano veloci per i piccoli che bramano la vita all’aria aperta. Giocare con il branco, star insieme ai propri simili li stimola ad esser sereni, compiacenti, disponibili al volere di chi di loro non vuole che un’essenziale caratteristica: la ferocia.
Qualche decina di cuccioli mansueti è cosa ben semplice da gestire: la loro indole pacata è in fondo una delle caratteristiche che l’uomo sfrutta di più, da sempre, per i suoi fini più immediati e meschini. Passata la prima fase, in totale attaccamento con la madre, devastata dal parto, dalla mancanza di energie, dalla poca o inesistente nutrizione, il cucciolo viene obbligato ad ubbidire.
Viene legato con una corda e un nodo scorsoio ad una barra, questa ad un trattore o ad un quad, e viene fatto correre insieme a cinque o sei coetanei, così, in batteria. Nella sua ingenua visione di cucciolo, trova quello un gioco assai divertente: star con gli altri, trotterellare sgroppando è per lui il massimo.
Il sole non è ancora caldo, l’estate è ancora lontana. Il cucciolo ha solo tre mesi.
La primavera comincia a inverdire i rami degli alberi, e tutto ciò che in inverno era spoglio e monocolore ora è una miriade di profumi e di sensazioni nuove, inaspettate.
Il cucciolo ha solo cinque mesi. A cinque mesi, quello che era uno sgraziato assieme di leverismi tenuti insieme da fasci di muscoli dinoccolati, si sta trasformando in un adulto ben proporzionato.
Pane secco, polvere, terra e acqua. E ammassi di occhi smarriti, di musi incrociati uno sul dorso dell’altro, in attesa di esser liberati per compiacere il padrone. Solo così si può gioire e inseguire l’istinto che, dagli albori del tempo, contraddistingue il rapporto tra l’uomo e il cane. Solo così l’animo cacciatore può venir fuori.
Gli allenamenti sono sempre più feroci, massacranti. Non è più un gioco, e quella barra piace sempre meno. La corda è diventato filo di ferro arrugginito, sempre più stretto attorno ad un collo che, per quanto robusto, a forza di dimenarsi inevitabilmente di abrade e si lacera in ferite mai cicatrizzate.
Ora il sole scalda le terre mute e dimenticate. In Andalusia, la polvere è addirittura la padrona del mondo, almeno questo piccolo mondo fatto di sbarre, mugolii, escrementi, ossa e fame. Polvere e sole, terra e cielo implacabile, pesante, terso.
A nove mesi, il piccolo è quasi un adulto. E, come adulto, pensa e si muove. Ancora pane secco, ancora la stessa putrida acqua. Cominciano gli addestramenti alla caccia. Colline troppo piccole per contenere una così grande quantità di corridori che, obbligati al predatorio, trucidano tutto ciò che si para loro davanti. Prede che, terrorizzate, scappano come saette.
La caccia a vista può durare a lungo. Una corsa sfiancante, solitamente in coppia, o in gruppi di non più di tre cani per volta. La preda è spacciata, non ha scampo, perché non c’è asperità di terreno che un predatore di questo tipo, con questo tipo di stimoli, non possa far sua. Non c’è scampo.
Quella preda significa la Vita. Unita alla Morte.
Se la preda non arriva morta, il galgo viene seviziato senza pietà tenendolo fermo per il fil di ferro del collare, e gli si scarica addosso un pallettone, in modo che non lo uccida, ma lo “avverta”. Su questa dualità Vita-Morte profondamente interconnessa, il galghero ha costruito il suo triste primato. Sa bene che, su decine di cani, solo pochissimi saranno degni di attenzione e di cure. Solo quattro o cinque saranno degni di esser chiamati per nome, e solo quelli lui amerà.
Anche se tutti hanno l’istinto predatorio, su decine di cani solo quattro o cinque saranno dei killer senza paura, pronti a sbranare e a farsi sbranare: solo quelli saranno degni di esser allevati e sfamati a dovere.
Gli altri non sono che un ammasso di muscoli e ossa da gettar via, bocche inutili da sfamare per nulla. Cose inutili di cui sbarazzarsi al più presto.
E’ la stagione della caccia. Per quanto sia coraggioso e senza paura, il cucciolo ormai adulto, ben addestrato e terrorizzato, varca il punto di non ritorno. Prima o poi la preda ha il sopravvento, o riesce a scappare, o non muore. O non serve al padrone perché sbranata con troppa foga per fame. Basta questo per scatenare, nel migliore dei casi, l’ira di una canna di fucile puntata alla testa.
Un colpo secco, uno sprazzo di sangue, e la terra si macchia di innocenza mai perduta. Vicino, il corpo senza vita di venticinque chili di polmoni e cuore possenti. Le zampe divaricate, la coda spezzata, fanno del tutto un paradossale scomposto ammasso di membra pronte per i rapaci che, di lì a poco, stremati anche loro dalla fame, lo porteranno via. Nel migliore dei casi, perché un famoso detto spagnolo recita “una pallottola e un tozzo di pane secco non valgono un galgo”.
Il sole tramonta, e la notte si fa fredda nel sud della Spagna.
E’ finita la Temporada, e sta per iniziare “El miedo de los galgos”.
Delle decine di cuccioli venuti al mondo senza colpa, la maggior parte è abbandonata cadavere, con gli arti spezzati, o sgozzata, o massacrata di botte sui campi di caccia per una preda non catturata. O per non aver corso adeguatamente. O perché quel vino troppo carico ha deciso che quelle zampette da coniglio dovessero scomparire.
I meno fortunati vengono riportati nelle gabbie nella terra, attaccati insieme, e insieme buttati in un pozzo profondo e buio, ad annegare senza pietà. Per non sentire le loro grida, gli si incastra in bocca una pietra. Altri per puro divertimento vengono impalati, sgozzati perché non degni, e spellati ancora agonizzanti.
Ai bambini viene insegnato che questo è giusto, e che fa del cane un precursore di un feroce guerriero. E se la pezzatura è tutta nera, allora inveire su quel poderoso cane è cosa dovuta, perché il branco capisca che deve fare per procurarsi la sopravvivenza. Dunque lo si bracca con un cappio di fil di ferro calato attorno al forte collo, lo si lega ad un ramo basso di un albero, e lo si lascia lì ad agonizzare giorni e giorni e giorni.
Il cane, stremato, per sopravvivere punta sugli arti posteriori ed esterna smorfie di ilare deformità. Va avanti e indietro, sulle zampette che poco prima erano servite per volare sui campi, nella vana ricerca di un respiro che non arriverà. Questo moto spasmodico viene beffardamente soprannominato “el pianista”. Poi la lingua scende, il freddo si fa estremo, i muscoli cedono, il collo si spezza, gli occhi si velano di un bianco eterno. Ancora un flebile sospiro. Poi basta.
Il sole sorge e tramonta. L’innocenza non è più. Senza colpe, un’altra anima si è aggiunta alle altre migliaia nel Paradiso degli animali. Quel cucciolo nato per incontrollato voler di lobbies troppo forti per esser contrastate, ora ha trovato il suo posto.
Una parte degli inutili adulti, spesso di appena un anno o poco più, vengono abbandonati per strada o, peggio, portati nel canile più vicino e lasciati lì. Sono le perreras, posti dimenticati da Dio, dove per legge i nuovi arrivati devono essere liquidati entro venti giorni, perché altri cani possano prendere il loro posto.
La gasatura va per la maggiore. Del resto l’uomo è un esperto nel campo, il metodo è più che collaudato. Altrimenti un’iniezione toglie il problema di torno. Un ottimo business a tutti gli effetti: per ogni anima che entra, il gestore della perrera riceve non meno di sessanta euro.
In Spagna, ogni anno si contano quarantamila, cinquantamila cani straziati nelle più varie forme di aberrante follia.
Ogni singolo anno.
In questa allucinante e taciuta realtà, Dio di tanto in tanto si desta e, per mano di alcuni dei suoi Figli più illuminati, guarda negli occhi alcune di quelle anime. Sono occhi che conosce bene, sono occhi d’una profondità straniante, quasi umana.
Scende tra loro, allarga i palmi delle sue immense mani, poi le unisce come ad accogliere un guizzo di acqua cristallina. Si avvicina ad uno di quei musi lunghi che, subito un po’ restìo, poi si lascia avvicinare, e dolcemente viene a Lui.
– Tu sì – gli sussurra, accarezzandogli lentamente le vibrisse. Gli sorride dolcemente. Quello socchiude gli occhi stremati, e in un sospiro di sollievo timidamente gli lecca le dita. Ancora e ancora, per interminabili istanti. La lunga coda, prima rigidamente tenuta tra le magre zampe posteriori, ora oscilla leggera. Le orecchie prima tremanti e tirate all’indietro, ora sono larghe e ferme, in attenzione.
– Tu sei salvo – gli sussurra ancora, ma quel muso lungo non emetterà che un lungo, lunghissimo sospiro di sollievo. Non un gemito, non un movimento di inconfutabile soddisfazione. Solo un sospiro. La rassegnazione ha lasciato il posto alla fiducia, da riporre negli occhi di qualcun altro, un nuovo padrone uomo, o donna, capace di cancellare il baratro oscuro di atrocità di quei mesi.
E’ pace fatta, tra il Creatore di macchine perfette e il Predatore, tra l’Uomo e il Guerriero che lui stesso ha plasmato.
E’ una nuova vita per il Galgo, un cucciolo mai cresciuto e mai veramente nutrito, un cane tenace e forte, un terribile strumento di morte costruito e selezionato per la caccia a vista. Ma, nel contempo, un animale estremamente sereno, attento, sensibile e leale.
Li chiamano “cani del nulla”, perché la loro realtà è taciuta ai media internazionali per la connivenza di troppi interessi a tutti i livelli di potere politico: a chi importa dell’ecatombe che annualmente si consuma su migliaia di bestie senza colpa, trucidate perché troppo numerose?
Li chiamano “cani fantasma”, perché la loro corsa è fulminea e inudibile, perfetta e, per questo, invidiata a tal punto da esser annientata. Ma sono fantasmi anche perché del tutto trasparenti nella vita di tutti i giorni: difficilmente ci si accorge di un galgo quando lo si ha accanto, è un essere discreto al limite dell’immaginabile, quasi come un gatto. Anzi, più gatto che cane.
Quattro anni fa non sapevo nemmeno che cosa fosse, un Galgo. Ma Dio ha scelto per me due volte, e per due volte ha messo sulla mia strada due veri straordinari gioielli.
Cerco ogni giorno di raccontare un po' la loro storia. Una storia di amore e di gratitudine, di corse a perdifiato e di carezze, di attenzioni, sfumature e tenerezza. Di albe e di tramonti. Di nebbia e cieli stellati.
E' la loro storia, che poi è la mia storia, mia e di chi ci è stato accanto e ci ha voluto bene.
Vivere con un Galgo significa amare un vero amico, ed aver la fortuna di poter ammirare un’autentica meraviglia della Natura.
Un Galgo è un atleta formidabile, dal portamento perfetto, nobile, fiero e schivo, forte solo della propria velocità e per questo poco compreso e conosciuto, spesso snobbato.
Ma se è vero che quando un levriero corre la Terra gira più velocemente, adottarne uno significa far tornare un cane fantasma di nuovo Figlio del Vento.
Significa vivere incontri animali assolutamente esilaranti, e altrettanti rapporti umani del tutto inaspettati.
Fai come me, Adotta un Galgo.
Slowhand
Chiariamo che io apprezzo moltissimo l'impegno di Andrea per salvare la vita e, quando si può, eliminare le sofferenze dei greyhounds. Come lui, in altri ambiti, tante persone meritevoli si impegnano per ridurre il "tasso di crudeltà" che flagella questo mondo.
Non farò del "benaltrismo", come purtroppo capita spesso, dicendo che "ci sono cose più importanti" o che "allora i bambini", e così via. Sono discorsi senza senso, ognuno ha le sue priorità, e se si fa del bene va bene tutto.
Solo che eviterei le confusioni con la catena alimentare. L'uomo, checchè si cerchi di convincersi del contrario, è un essere onnivoro. Mangia carne, ed è naturale e normale che lo faccia. Prima gli animali li cacciava e li uccideva con le reti e con la lancia, adesso li alleva e li uccide in altri modi. Ma li mangia, e questo è normale. Proprio ieri si diceva che la morte è una cosa normale, e non bisogna averne paura: ecco, lo è anche quella degli animali che entrano nella nostra catena alimentare. Se il leone non si sente in colpa per essersi alzato presto a cacciare la gazzella, non vedo perchè devo sentirmi in colpa io quando arrostisco una braciola o mi gusto un carpaccio. Fa parte dell'equilibrio del mondo e del cerchio della vita. Qui a Roma c'è un modo di dire molto diffuso, che rappresenta benissimo il concetto: chi muore è "andato a ffa' terra pe' ceci". Ci consumeremo in materiale organico, che a sua volta darà origine a nuova vita: nessuno si sentirà in colpa per questo, e l'animale che io mangerò stasera a cena non si è certo pentito di essersi nutrito di quello che è stato mio nonno.
E' crudele questo? No, la necessità non è crudele, e il mondo funziona (sia per caso o sia per scelta, non ha importanza) grazie allo scambio e al soddisfacimento di queste necessità.
E' crudele infliggere maltrattamenti non necessari, uccidere per il gusto di farlo, trattare gli animali come giocattoli da buttare.
Animali di serie A e serie B non esistono: esistono costumi e abitudini alimentari, non mangiamo i cani perché li trattiamo come compagni, e la loro carne -per motivi psicologici- non ci attira; ma se fossimo digiuni, e non avessimo altro, mangeremmo anche quelli, come è già successo (mangeremmo anche carne umana, se necessario). Esistono posti in cui non mangiano il coniglio e posti in cui il cane è prelibato, popoli che non mangiano bovini o suini e popoli che divorano insetti come noi i cioccolatini. Le abitudini alimentari sono sociologia, non biologia.