Slowhand wroteCome dice Francesco, il discorso è lungo, e parte (ovviamente) da molto prima di Palestrina, ovvero dal Salmo 47: "Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni;
perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte".
Perché tutta la musica (ameno quella "occidentale", ma non crediate che nelle altre culture l'approccio sia tanto differente) deriva da lì, dal modo di cantare a Dio "con arte" che, a partire dagli israeliti, si è poi trasferito nelle prime celebrazioni cristiane (i primi cristiani non erano altre che ebrei che celebravano una nuova alleanza con lo stesso Dio di prima: nulla di anomalo nel fatto che abbiano trasferito le loro secolari modalità "liturgiche").
Senza stare a fare il riassunto di secoli di sapiente esegesi, il concetto è che a Dio si deve cantare "con arte", ovvero con attenzione non tanto alla forma musicale o alla melodia (che anzi è spesso ridotta alla forma della cantillazione), quanto alla parola che si pronuncia, che deve essere chiara perché Dio la ascolti e la faccia propria (anche qui, discorso molto più complesso: ciò che Dio ascolta e fa proprio viene immediatamente "creato", perché la "Parola" è potenza di Dio, e Dio stesso è "Parola". Pensate anche alla kabbalah, e alle sue implicazioni).
Quindi si canta, per prima cosa, in modo che sia chiaro ciò che si canta. Nasce da qui il canto gregoriano: e pensate che con l'espressione "canto gregoriano" noi buttiamo nello stesso mazzo, semplicisticamente, 12 buoni secoli di produzione musicale: pensate che tra Bach e noi ne corrono si e no 4, e vi rendete conto -anche senza essere esperti- che in 12 secoli le cose non possono essere rimaste sempre uguali...
La principale caratteristica del canto gregoriano è quella di creare la melodia attorno alla parola, alla frase; il gregoriano non conosce il nostro concetto di "tempo" musicale, la battuta, la divisione. Conosce sillabe lunghe e sillabe brevi, conosce la frase da cantare e il suo significato: a ogni sillaba corrisponde una nota, e su quel significato costruisce un andamento melodico in grado di esprimere col (limitato) movimento delle note la "partecipazione" del cantore, che è preghiera.
I primi abbellimenti "estetici" a questa forma di composizione sono i melismi, ovvero l'allungamento su più note di una stessa sillaba; estetica mai fine a se stessa, sottolineare una sillaba (una parola) con un abbellimento è dovuto alla volontà di accentuare l'importanza di quella parola. E se pensate che sia un procedimento elementare, beh, non sbagliate, ma ascoltate il modo di far musica contemporaneo e scoprirete chele cose non sono affatto cambiate, almeno nel caso di compositori e interpreti che "sanno" il fatto loro e non si limitano ad applicare espedienti tecnici.
Passerà poi molto tempo perché alla monodia si aggiunga la prima, elementare, forma di armonia, ovvero il "bordone", la nota fissa tenuta "sotto" il canto. Abbiamo, ora, due forme di variazione: gli abbellimenti e il bordone. E -sempre con tempi "tranquilli"- queste forme si moltiplicano: il bordone si raddoppia, diventa armonia complessa; anche sul canto si tentano forme di parallelismi, e diventa quindi importante il "tempo": ma è proprio grazie alle incertezze sul "tempo", agli attacchi sbagliati, che a qualcuno viene in mete la prima forma di polifonia, il "canone": la ripetizione della stessa frase su un tempo diverso.
E' ovvio che non si possono riassumere 15 secoli di storia della musica in dieci righe, ma figuratevi solo i "grandi passi": il canto sillabico, poi il canto ornato, poi l'accompagnamento del sottofondo, lo sviluppo delle voci parallele, e finalmente la polifonia: tutto questo, partendo dal concetto che al centro di tutto c'è il testo, la parola e il suo significato; Ma si tratta di un "punto di partenza" che nello sviluppo della tecnica musicale finirà per essere messo da parte, dimenticato, trascurato.
Non si può (mi ripeto, lo so) dire tutto in poche righe; le prime forme di polifonia sono testimoniate in Francia verso il 900, la polifonia "moderna" (e che tale fosse lo percepirono anche i contemporanei, che la definirono "Ars Nova" per contrapporla al "vecchio" modo di comporre, la "Ars Antiqua") nasce intorno al 1300 (è del 1260 il primo trattato conosciuto sulla "notazione mensurale", ovvero la nascita del modo di scrivere spartiti così come lo intendiamo noi adesso). I compositori hanno affinato la tecnica, e la composizione diventa sempre più un mezzo espressivo: tutte le regole della musica, così come noi le conosciamo ancora oggi, nascono in quei due secoli, Bach sarà colui che le ricapitolerà TUTTE fornendo così una nuova base di partenza ai suoi successori, che le "rileggeranno" (detto in termini semplici, il ruscello-Bach segna il guado tra la scrittura "orizzontale" e quella "verticale", una rivoluzione che a confronto Robespierre è un dilettante -e Bach manco tajava le capocce) e arriveranno fino al '900. Ma sto divagando, e non è il caso.
Nasce la polifonia, nasce il "mestiere" del musicista, e il musicista ci tiene a far bella figura mostrando di saper comporre al meglio delle sue conoscenze. Chi ci rimette è proprio la chiarezza del testo: tra ornamenti, contrappunti, voci che si incrociano, ritorni e ripetizioni la frase viene spezzettata, scomposta, ridotta a un mero ammasso di sillabe. Al Concilio di Trento si propone addirittura di vietare la polifonia nell'uso liturgico, proprio perché la musica ha il sopravvento sulla parola e la preghiera non è più comprensibile. Vuole la leggenda che sia stato proprio Palestrina, su incarico di papa Cervini (Marcello II, pochi giorni di pontificato), a convincere il nuovo pontefice (Gian Pietro Carafa, Paolo IV, un tipino che vi raccomando...) che polifonia e comprensione del testo non erano incompatibili.
Un po' per il bestiale laicismo dell' '800, che ha volutamente oscurato tutto ciò che potesse avere ripercussioni religiose per esaltare l'individualismo romantico , un po' per l'effettiva difficoltà di "leggere" il significato di quella musica, Palestrina e la polifonia sono sconosciuti al "grande pubblico". Tutti conoscono Mozart, Bach, Beethoven; beh, da un punto di vista tecnico, artistico e storico solo Bach regge il confronto con Palestrina, Mozart sparisce (!!!) e Beethoven deve cedere le armi. Se Bach è il padre di tutta la musica occidentale, Palestrina (e Monteverdi, ma dovremmo allargare il discorso a dismisura, e non è il caso) ne è il nonno, colui che per primo ha... ammassato il capitale. Scusate se è poco...
Mi inchino!!! Caspita che bellezza!! E pensare che sto facendo la tesi su Animuccia (missarum liber primus 1567) e la questione musicale post-Concilio, una cosa meravigliosa!