Neophytus
@Slow 🙂
Gran bel film, Philadelphia (Jonathan Demme è uno dei miei preferiti), con quel momento intenso e commovente, ma non piagnucoloso, che hai ricordato.
Be', la tua analisi mi soddisfa. Se il calo vocale vi fu (non tutti sono concordi che perdette in estensione, c'è chi l'ha misurata) fu certamente compensato da una ancor maggiore sensibilità interpretativa, la qual cosa ha dell'incredibile trattandosi della Callas. Basti ascoltare la serie dei concerti con Georges Pretre, proprio a metà degli anni '60: da svenimento. E come giustamente fai capire tu, la sua bellezza incomparabile non sta nella misurabilità di alcuni indici, ma nella qualità percepibile da tutti: una sorta di autoevidenza, che bisogna proprio essere accecati dal tifo per la Tebaldi, e poi per Sutherland e Caballè, per non "vedere". La "verità" non si può dimostrare discorsivamente, ma si mostra, e allora basta avere occhi, od orecchi. Le due performance che ho messo di "O mio babbino caro" mi paiono esemplari in questo senso.
Il paragone con Pavarotti mi pare invece improprio. Pavarotti rimane uno dei tanti, per me, tuttavia abilissimo a sfruttare la crescente ignoranza del pubblico operistico (quello che infatti adesso si sdilinquisce per l'orripilante Bocelli) e la potenza dei mass-media. Nell'uso della sua immagine, Pavarotti non ha avuto rivali. La Callas fu piuttosto vittima delle rivalità incrociate (perché per un ventennio non ci fu ruolo che non potesse fare meglio di chiunque: perfino Brunilde e Rosina - rivaluterei la sua Rosina) e del sistema organizzato del gossip. Pavarotti ha avuto la fortuna di essere contemporaneo dei Domingo, dei Carreras e compagnia (cantando). Fosse nato venti anni prima, fosse stato contemporaneo della Callas - e dei Corelli, Del Monaco, Bergonzi, ecc. - sarebbe solo riuscito a dimagrire per l'invidia...
Slowhand
Mi aspettavo una risposta simile, su Pavarotti... :-)
Pavarotti si è "rovinato" con una vecchiaia artistica da baraccone: concerti show, Tre Tenori, happening modenesi e chincaglierìe simili. Tutto questo induce spesso a dimenticare due "verità": una, che dopo quella di Bergonzi (e di Alfredo Kraus), la voce di Pavarotti è, per timbro e pulizia, la più bella voce di tenore del novecento; la seconda, che il Pavarotti cantante d'opera (e cioè fino a quando ha fatto il tenore e non lo show-man, diciamo fino agli anni '80) è stato un grande, grandissimo cantante lirico. Non intendo dire che Pavarotti sia per i tenori quello che è la Callas per le soprano, il paragone è improponibile, ma anche Pavarotti ha scolpito interpretazioni che sono riferimenti imprescindibili. Soprattutto in Puccini (il Cavaradossi di Pavarotti è forse il migliore di sempre, e anche Rodolfo, il suo ruolo preferito, è a quei livelli; meno il Pinkerton di Butterfly, comunque sempre di altissimo pregio), e in Donizetti (al di là delle acrobazie dei "do di petto"), Pavarotti è cantante di statura artistica enorme, del tutto degno della fama che gli arrise.
Pavarotti era dotato di un talento vocale naturale e spontaneo, cui però -a differenza della Callas, come abbiamo detto, e di tanti altri- non affiancò uno studio tecnico rigoroso: da qui le risapute "libertà" di interpretazione rispetto ai valori del tempo dettati dallo spartito. Ma bisogna anche ricordare che tale difetto, che (assieme alle scelte "artistiche" di cui si è detto) gli impedì di raggiungere quella "perfezione" che sarebbe stata alla sua portata, si situava in una tradizione interpretativa ed esecutiva di lunga ascendenza (Caruso stesso ne era tutt'altro che immune...), e in lui, grazie proprio alla naturalezza dell'emissione, diventava personalità di interprete. Insomma, in vita è stato "mitizzato" oltre gli effettivi meriti, ma, in un ipotetico confronto con i grandi tenori della generazione precedente (peraltro eccezionale), non risulta così "perdente".
Neophytus
Slowhand wroteMi aspettavo una risposta simile, su Pavarotti... :-)
Pavarotti si è "rovinato" con una vecchiaia artistica da baraccone: concerti show, Tre Tenori, happening modenesi e chincaglierìe simili. Tutto questo induce spesso a dimenticare due "verità": una, che dopo quella di Bergonzi (e di Alfredo Kraus), la voce di Pavarotti è, per timbro e pulizia, la più bella voce di tenore del novecento; la seconda, che il Pavarotti cantante d'opera (e cioè fino a quando ha fatto il tenore e non lo show-man, diciamo fino agli anni '80) è stato un grande, grandissimo cantante lirico. Non intendo dire che Pavarotti sia per i tenori quello che è la Callas per le soprano, il paragone è improponibile, ma anche Pavarotti ha scolpito interpretazioni che sono riferimenti imprescindibili. Soprattutto in Puccini (il Cavaradossi di Pavarotti è forse il migliore di sempre, e anche Rodolfo, il suo ruolo preferito, è a quei livelli; meno il Pinkerton di Butterfly, comunque sempre di altissimo pregio), e in Donizetti (al di là delle acrobazie dei "do di petto"), Pavarotti è cantante di statura artistica enorme, del tutto degno della fama che gli arrise.
Pavarotti era dotato di un talento vocale naturale e spontaneo, cui però -a differenza della Callas, come abbiamo detto, e di tanti altri- non affiancò uno studio tecnico rigoroso: da qui le risapute "libertà" di interpretazione rispetto ai valori del tempo dettati dallo spartito. Ma bisogna anche ricordare che tale difetto, che (assieme alle scelte "artistiche" di cui si è detto) gli impedì di raggiungere quella "perfezione" che sarebbe stata alla sua portata, si situava in una tradizione interpretativa ed esecutiva di lunga ascendenza (Caruso stesso ne era tutt'altro che immune...), e in lui, grazie proprio alla naturalezza dell'emissione, diventava personalità di interprete. Insomma, in vita è stato "mitizzato" oltre gli effettivi meriti, ma, in un ipotetico confronto con i grandi tenori della generazione precedente (peraltro eccezionale), non risulta così "perdente".
Hai fatto apposta a provocarmi, eh? Come sapevi che Pavarotti lo detesto? E che se di fronte alla Callas parla in me l'evidenza della verità 😉 con Pavarotti sono mosso dal tifo fiero e contrario? :lol: - Quando canta Pavarotti è un po' come quando gioca la Giuventus: vedo rosso(nero) 🙂
Insomma, mi hai teso una trappola gesuitica, affinché mi confessassi...
Non sono abbastanza buon ascoltatore per poter giudicare, in genere e con l'unica eccezione della Callas (che peraltro non giudico, è lei che mi prende le misure), la qualità delle voci liriche e in specie di quelle tenorili, che non amo particolarmente. Però mia madre aveva un'incisione di "Un dì all'azzurro spazio" fatta da Corelli (mio conterraneo) che mi piaceva molto, poi una sera del '75 lo ascoltai dal vivo allo Sferisterio di Macerata in una (per me) memorabile Carmen. Amo la voce di Corelli e la discrezione dell'uomo, che si ritirò poco dopo quella Carmen, e questo ti dice in parte la mia avversione per Pavarotti. In parte, perché amo anche Gigli, altro mio conterraneo, con i cui dischi mi sono iniziato all'ascolto della lirica... E tuttavia, mea culpa, ti dirò che quando decisi di comperare un'edizione della Lucia... scelsi quella incisa da Pavarotti (anni '60, mi pare). Mea culpa, mea maxima culpa...
In compenso il
mio Trovatore (la prima opera ascoltata dal vivo, da bambino) è Corelli-Leontyne Price (altra voce meravigliosa) e Norma è Callas-Corelli.
Ecco, mi sono confessato. Padre, mi dài l'assoluzione? 😉
Nel frattempo, mi metto in ginocchio sui ceci. Ma al cospetto dell'unica voce umana che riesca a farmi dubitare del mio ateismo. Butterfly, Maria: sono una cosa sola
https://www.youtube.com/watch?v=TkgatM3-t4k
Slowhand
Come dice Francesco, il discorso è lungo, e parte (ovviamente) da molto prima di Palestrina, ovvero dal Salmo 47: "Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni;
perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte".
Perché tutta la musica (ameno quella "occidentale", ma non crediate che nelle altre culture l'approccio sia tanto differente) deriva da lì, dal modo di cantare a Dio "con arte" che, a partire dagli israeliti, si è poi trasferito nelle prime celebrazioni cristiane (i primi cristiani non erano altre che ebrei che celebravano una nuova alleanza con lo stesso Dio di prima: nulla di anomalo nel fatto che abbiano trasferito le loro secolari modalità "liturgiche").
Senza stare a fare il riassunto di secoli di sapiente esegesi, il concetto è che a Dio si deve cantare "con arte", ovvero con attenzione non tanto alla forma musicale o alla melodia (che anzi è spesso ridotta alla forma della cantillazione), quanto alla parola che si pronuncia, che deve essere chiara perché Dio la ascolti e la faccia propria (anche qui, discorso molto più complesso: ciò che Dio ascolta e fa proprio viene immediatamente "creato", perché la "Parola" è potenza di Dio, e Dio stesso è "Parola". Pensate anche alla kabbalah, e alle sue implicazioni).
Quindi si canta, per prima cosa, in modo che sia chiaro ciò che si canta. Nasce da qui il canto gregoriano: e pensate che con l'espressione "canto gregoriano" noi buttiamo nello stesso mazzo, semplicisticamente, 12 buoni secoli di produzione musicale: pensate che tra Bach e noi ne corrono si e no 4, e vi rendete conto -anche senza essere esperti- che in 12 secoli le cose non possono essere rimaste sempre uguali...
La principale caratteristica del canto gregoriano è quella di creare la melodia attorno alla parola, alla frase; il gregoriano non conosce il nostro concetto di "tempo" musicale, la battuta, la divisione. Conosce sillabe lunghe e sillabe brevi, conosce la frase da cantare e il suo significato: a ogni sillaba corrisponde una nota, e su quel significato costruisce un andamento melodico in grado di esprimere col (limitato) movimento delle note la "partecipazione" del cantore, che è preghiera.
I primi abbellimenti "estetici" a questa forma di composizione sono i melismi, ovvero l'allungamento su più note di una stessa sillaba; estetica mai fine a se stessa, sottolineare una sillaba (una parola) con un abbellimento è dovuto alla volontà di accentuare l'importanza di quella parola. E se pensate che sia un procedimento elementare, beh, non sbagliate, ma ascoltate il modo di far musica contemporaneo e scoprirete chele cose non sono affatto cambiate, almeno nel caso di compositori e interpreti che "sanno" il fatto loro e non si limitano ad applicare espedienti tecnici.
Passerà poi molto tempo perché alla monodia si aggiunga la prima, elementare, forma di armonia, ovvero il "bordone", la nota fissa tenuta "sotto" il canto. Abbiamo, ora, due forme di variazione: gli abbellimenti e il bordone. E -sempre con tempi "tranquilli"- queste forme si moltiplicano: il bordone si raddoppia, diventa armonia complessa; anche sul canto si tentano forme di parallelismi, e diventa quindi importante il "tempo": ma è proprio grazie alle incertezze sul "tempo", agli attacchi sbagliati, che a qualcuno viene in mete la prima forma di polifonia, il "canone": la ripetizione della stessa frase su un tempo diverso.
E' ovvio che non si possono riassumere 15 secoli di storia della musica in dieci righe, ma figuratevi solo i "grandi passi": il canto sillabico, poi il canto ornato, poi l'accompagnamento del sottofondo, lo sviluppo delle voci parallele, e finalmente la polifonia: tutto questo, partendo dal concetto che al centro di tutto c'è il testo, la parola e il suo significato; Ma si tratta di un "punto di partenza" che nello sviluppo della tecnica musicale finirà per essere messo da parte, dimenticato, trascurato.
Non si può (mi ripeto, lo so) dire tutto in poche righe; le prime forme di polifonia sono testimoniate in Francia verso il 900, la polifonia "moderna" (e che tale fosse lo percepirono anche i contemporanei, che la definirono "Ars Nova" per contrapporla al "vecchio" modo di comporre, la "Ars Antiqua") nasce intorno al 1300 (è del 1260 il primo trattato conosciuto sulla "notazione mensurale", ovvero la nascita del modo di scrivere spartiti così come lo intendiamo noi adesso). I compositori hanno affinato la tecnica, e la composizione diventa sempre più un mezzo espressivo: tutte le regole della musica, così come noi le conosciamo ancora oggi, nascono in quei due secoli, Bach sarà colui che le ricapitolerà TUTTE fornendo così una nuova base di partenza ai suoi successori, che le "rileggeranno" (detto in termini semplici, il ruscello-Bach segna il guado tra la scrittura "orizzontale" e quella "verticale", una rivoluzione che a confronto Robespierre è un dilettante -e Bach manco tajava le capocce) e arriveranno fino al '900. Ma sto divagando, e non è il caso.
Nasce la polifonia, nasce il "mestiere" del musicista, e il musicista ci tiene a far bella figura mostrando di saper comporre al meglio delle sue conoscenze. Chi ci rimette è proprio la chiarezza del testo: tra ornamenti, contrappunti, voci che si incrociano, ritorni e ripetizioni la frase viene spezzettata, scomposta, ridotta a un mero ammasso di sillabe. Al Concilio di Trento si propone addirittura di vietare la polifonia nell'uso liturgico, proprio perché la musica ha il sopravvento sulla parola e la preghiera non è più comprensibile. Vuole la leggenda che sia stato proprio Palestrina, su incarico di papa Cervini (Marcello II, pochi giorni di pontificato), a convincere il nuovo pontefice (Gian Pietro Carafa, Paolo IV, un tipino che vi raccomando...) che polifonia e comprensione del testo non erano incompatibili.
Un po' per il bestiale laicismo dell' '800, che ha volutamente oscurato tutto ciò che potesse avere ripercussioni religiose per esaltare l'individualismo romantico , un po' per l'effettiva difficoltà di "leggere" il significato di quella musica, Palestrina e la polifonia sono sconosciuti al "grande pubblico". Tutti conoscono Mozart, Bach, Beethoven; beh, da un punto di vista tecnico, artistico e storico solo Bach regge il confronto con Palestrina, Mozart sparisce (!!!) e Beethoven deve cedere le armi. Se Bach è il padre di tutta la musica occidentale, Palestrina (e Monteverdi, ma dovremmo allargare il discorso a dismisura, e non è il caso) ne è il nonno, colui che per primo ha... ammassato il capitale. Scusate se è poco...