Piccolo aneddoto personale.
Io ho cominciato a suonare la chitarra da ragazzino, e quando cominciai il liceo c'era tra i ragazzi grosso fermento musicale. Tutti quelli che sapevano (o credevano di saper) suonare uno strumento mettevano su la loro bella band. Il 90% si dedicava al metal o al punk, il 9% di più bravi si beava degli ultimi scampoli di prog ("Ma te ce sei stato ar concerto dei GGenesis?"). L'1%, ovvero io e qualche amico, suonavamo il rock'n'roll. Trionfavano intorno Iron Maiden e Spandau Ballet, noi ascoltavamo gli Stray Cats e Bruce Springsteen. Il nostro repertorio era Little Richard, Chuck Berry, Elvis, Eddie Cochran, Jerry Lee Lewis, quella gente lì. Tre accordi in croce, sempre gli stessi, sempre la stessa sequenza. Assoli improbabili, ritmica zoppicante, sonorità assurde... Ma eravamo giovani, e ci piaceva.
Più tardi (ma senza quella partenza sarebbe stato impossibile) sarebbe venuta la scoperta di Eric Clapton e quindi del blues, e tante altre cose. Ma credo, ancora oggi, che il rock'n'roll dei '50 sia quel "battito animale" (per citare un'altra di quelle cose che ascoltavano gli "altri") che è insito nella memoria ancestrale di ognuno di noi (il ritmo del blues è invece il costante ondeggiare quotidiano, dei momenti di riflessione e consapevolezza. Bacco e Apollo, insomma).
La faccio breve. Tre, quattro anni fa, mi chiama un amico che apre un locale, per una jam (io ormai suono solo con gli amici, per divertimento, serate ne facciamo giusto se ci capita qualcosa cui non si può dire di no). Ok, grazie, vengo volentieri.
"E che pezzo vuoi fare?"
Bah, è una jam, manco una prova, farei una cosa sulla quale più o meno ci intendiamo tutti. Dai, faccio Johnny B. Goode.
"Ma saranno 40 anni che la suoni, non ti sei stancato?"
"No."
Chuck Berry - Johnny B. Goode (Live 1958)